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le touquet |
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Photo Didier Lambert
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continuo a sostenere che il miglior modo per evolversi sia quello di farlo in una situazione di tensione costante. Le cose si imparano per necessità: sono un po’ un darwinista di me stesso. Nel 2000 per gareggiare a Terschelling con lo Standart non ero altrettanto preoccupato. Stavolta però si tratta di un Classe 5 e su una spiaggia che non ho molto tempo per conoscere bene. Un Classe 5 a Le Touquet, scopro immediatamente, non si improvvisa: non è proprio l’abbinamento ideale per chi, come me, naviga in carro a vela una o due settimane l’anno. Photo Oliver Salvan i Classe 5 sono realizzati con uno chassis in grossi tubi metallici saldati ai quali sono collegati i tubi in alluminio che supportano le ruote posteriori fortemente inclinate e il ruotino anteriore. Al telaio è collegato un guscio in compositi nel quale prende posto, completamente sdraiato, il pilota. L’albero a sezione circolare in alluminio, la vela da 5,5 m2 e un peso minimo di 50 kg completano la scheda tecnica. Lo yacht che Hubert Queval mi mette a disposizione è un Adves realizzato da Pierre Cornuwel. Hubert, che concluderà al 5. posto assoluto, gareggia con un gemello, ma decisamente più fresco. Non ho la possibilità di provare carro e spiaggia finché non viene dato il via della prima gara. Il vento è debole e muore, ma la mia prima impressione conferma quello che mi hanno sempre detto: con un Classe 5 è dura, veramente dura. Zigzago spingendo per prendere velocità perché la pedaliera dello sterzo è lontanissima lì davanti e impiego un po’ di tempo a comprendere che finché non si assume la posizione sdraiata l’unico modo per sterzare è agire sulle leve a mano collegate alla ruota anteriore che si trovano su entrambi i fianchi del carro. La visibilità in assetto da gara è praticamente nulla ora che vado lentamente. Photo Oliver Salvan il giorno successivo il vento è aumentato e monto una vela più piccola, ho voglia di correre, ma anche di avere il controllo su quello che accade. L’unica parola che può spiegare questa 1. manche di classe ai WC2006 è FURORE. A parte l’intensità del vento la regata sembra facile facile: al traverso, poco da inventarsi. Meglio così, perché al primo contatto devo pensare a…A COSA? Io non penso a nulla, se non a mantenere il contatto con chi mi precede. Photo Oliver Salvan vivo per qualcosa in più di 35 minuti – la durata stabilita dal direttore di gara – in un tunnel nel quale il mio orizzonte è limitato in pochi metri di sabbia conchiglie acqua piccole vele di coloro che navigano in senso inverso che si ingrandiscono ruote che si sfiorano a mezzo metro di distanza uno di quelli forti che mi urla di dargli strada. La vela è messa a punto? Non ho tempo di controllare. Dove sono in questo momento? So che a Le Touquet in bassa marea ci sono due banchi di sabbia separati da una depressione e poi altri canali trasversali e che ci sono delle zone in cui si passa da un banco all’altro senza troppe scosse, una dovrebbe essere dove finisce la prima serie di cabine colorate ma come posso voltarmi per guardare dove accidenti sono le cabine? Cerca il delta, cerca il delta…dovevo arrivare qualche giorno prima ed esplorare, invece sono qui che prendo dei colpi spaventosi e succede qualcosa al carro…sento il fondo carenato che struscia sulla sabbia. Ancora poche virate alle boe – con le loro bandierine che si avvicinano a velocità impressionante, poi la curva, nella quale mi devo tenere con la mano al bordo del carro – e infine la bandiera a scacchi, è un piacere vedere Stanislas sventolarla. Espressioni un po’ cupe circondano il mio arrivo: cupa la FFCV, cupo Hubert, cupo Pierre Cornuwel, il costruttore. Lo chassis si è criccato in mezzo ai tubi che sostengono le ruote posteriori: il telaio si è aperto e quindi tutto il carro si è abbassato di una decina di centimetri. Cornuwel lavorerà tutta la notte a un bel ricamino di acciaio sullo chassis per permettermi di prendere il via il giorno successivo. Photo GF Cohen lo schieramento sulla linea di partenza è previsto per le 8, ma non riusciamo a completare l’assemblaggio in tempo. Arrivo al briefing quando ormai si sta per concludere e come prescrive il regolamento non posso prendere parte alla regata. In realtà è meglio così, perché il carro è stato montato con troppa fretta e approfitto per sistemare la pedaliera – la barra urtava contro la scocca e ruotava con difficoltà – e montare di nuovo la vela grande da 5.5 per la seconda gara della giornata. Il vento è debole, sempre al traverso. Spesso occorre scendere e spingere. Mi accorgo che le ruote mi si sono aperte di convergenza, non so se a causa di una botta in qualche buca o per la fretta del mattino. Fanno molto attrito, ma posso continuare la gara e proseguire il mio apprendistato. Navigo comunque con una maggiore prudenza, non ho intenzione di fare altri danni. Vincent, dell’equipe francese, mi aiuta a rifare l’assetto con il liner, l’attrezzo che permette una giusta regolazione dell’inclinazione delle ruote e che dipende anche dal tipo di telaio. Photo GF Cohen il giorno seguente il vento cambia, proviene da sud per una regata tecnica con continue virate e strambate. Verso nord c’è un punto obbligatorio dove passare, lasciando i coni a sinistra: si arriva con una buona velocità e poi - waaasssshhhh – in picchiata in un canale sul cui fondo l’alta marea ha lasciato una trentina di centimetri di sana acqua salata. Tanto per ricordarmi di non distrarmi mi faccio anche la mia buona ribaltatina: come nel 2000 sullo Standart, la ruota sopravento si solleva leggermente e io cerco di filare un po’ la scotta, se questa non fosse incastrata sotto il mio corpo. Venerdì dovrei essere in spiaggia, ma tutti i colpi subiti in questi giorni dal collo e dalla schiena non sono più compensati dall’adrenalina. Se ha ceduto lo chassis, per quanto con qualche traccia di ruggine, una bella botta deve averla assorbita anche il mio corpo. Sarà un Campionato del Mondo, la massima espressione dell’agonismo, ma per me è soprattutto un’occasione per fare esperienza e divertirsi. Ha senso prendere dei rischi senza essere al massimo della forma? Assisto alle regate degli Standart e a quelle dei miei colleghi, che disputano due regate, sempre col vento lungo l’asse della spiaggia. nata un po’ per caso, più che altro per le vantaggiosissime condizioni offerte dalla Federazione Francese – 200 € per noleggio yacht e assicurazione e alloggio in comune in uno studio ai quali dovrò aggiungerne a malincuore altri 300 per i danni al carro – questa manifestazione si rivela la più impegnativa e intensa alla quale abbia preso parte. Impegnativa ovviamente per il terreno di gara, il mezzo e lo spirito di competizione. Intensa per i contatti umani, a partire dai miei compagni di stanza, entrambi veramente in gamba. Ali, un tipo tosto e molto positivo che si occupa di turismo avventura, anche in char a voile, a Djibouti (www.aecveta.com) e Graham (www.ohope.co.uk), neozelandese, molto professionale, competitivo e prodigo di informazioni tecniche. Fino ad arrivare ai mostri sacri del carro a vela, quelli che sono l’anima di questa sport: solo per citarne alcuni, il leggendario pilota e costruttore Pierre Dumoury (quello che ideò la Banane con ruote disposte a rombo e carenatura aerodinamica, tanto per intenderci), Bertrand Lambert – 5 volte campione del mondo, detentore del record di velocità fino al primato dell’Ironduck – e Christian Nau. Come più spesso sottolineato da chi lo ha incontrato, Nau è una persona che non ha nulla del superuomo; eppure è stato protagonista di imprese straordinarie, dalla crociera solitaria nel Sahara in char a voile a quella delle Falklands in bicicletta a vela. Un uomo di comunicazione – celebri i suoi spostamenti a vela per Parigi o sulle autostrade – al quale il carro a vela deve molto del suo successo e della sua immagine. Photo Didier Lambert tutto
questo in una cornice amichevole e perfettamente organizzata con
un turbine di ricevimenti, cocktail, cene, con al climax la festa
per il 50 anni del Bleriot Club. E, investito come al solito di
un ruolo – ufficiale – di capitano della squadra italiana,
cioè colui il quale innalza il tricolore nella cerimonia
d’apertura, l’occasione di partecipare alle riunioni
di FISLY e FFCV cercando di captare cosa si sta muovendo per il
futuro. La probabile introduzione di una classe più semplice
ed economica, la 5 Promo, per le gare internazionali, il formidabile
arrembaggio del Blokart che vuole rimanere al di fuori della FISLY,
la nonchalance con la quale il delegato indiano afferma che nel
Gujarat c’è una area per praticare il carro a vela
grande quanto il Belgio, le prime brochures dei prossimi Europei
in Gran Bretagna a Hoylake, e dei prossimi Mondiali in Argentina
a Comodoro Rivadavia.
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